domenica 3 giugno 2007

OPERAZIONE SALVIAMO L’ EXODUS
Cari lettori,
dall’ormai sconquassata città di Bologna è una famiglia, un gruppo di amici e ragazzi partiti da lontano e venuti in questa città per cercare un po’ di felicità che vi lancia un grido d’aiuto. Siamo arrivati qui in tanti, abbiamo fatto sacrifici e donato parte di noi stessi per riuscire a dare ed avere qualcosa di più di ciò che i nostri paesi d’origine potessero offrirci. Ed è proprio qui che dopo le iniziali illusioni, i primi sudati sorrisi ci vediamo privati dei nostri spazi, quelli che, chi pagando fior di cambiali, chi investendo il proprio talento e buona volontà, ci siamo guadagnati al semplice scopo di far incontrare chi aveva qualcosa da dire con chi aveva voglia di ascoltare. Ma, cosa più grave, ci sentiamo privati della nostra dignità, trattati come fastidiosi ospiti, capri espiatori a cui addossare delle colpe che ai diretti responsabili potrebbero dare troppo fastidio e, soprattutto, un cattivo nome. L’Exodus è sempre stato un luogo di incontro di culture diverse,una famiglia per chi quella vera ce l’ha troppo lontana, terreno fertile per amicizie, amori, collaborazioni artistiche, solidarietà o una semplice bevuta in compagnia e forse per questo facile bersaglio di chi vuole addossare i problemi del degrado agli ultimi gradini della piramide, senza pensare che se in cima non si fa niente non cambierà mai nulla. Chiunque legga il curriculum vitae dell’Exodus si renderà conto che è proprio qui che sono stati dati spazi gratuti ad artisti di vario genere come pittori, scultori, fotografi, musicisti, poeti; organizzate feste in piazza per il primo maggio e giochi della gioventù, dato rilievo alla cultura (gastronomica e non) di tutte le regioni d’Italia, dato lavoro a molte persone, offerto aiuto a chi ne avesse bisogno, offerto calore e familiarità anche a chi non avesse chiesto nulla ma soprattutto in quest’ultimo periodo il bar Exodus era diventato promotore di un’importante iniziativa a sostegno di un orfanotrofio nella città di Tuzla, in Bosnia, terra di rifugiati scampati dalla guerra. L’aiuto che il bar Exodus, attraverso Wilmo e la sua attività di aiuto in loco di cui anche le Nazioni Unite ne hanno riconosciuto la validità e l’importanza, voleva dare era sia economico (grazie a numerose serate di beneficenza e un corso di yoga organizzato dal bar stesso con la maestra Silvia Gregori i cui proventi venivano destinati interamente alla missione) sia umano: infatti molti ragazzi che inizialmente frequentavano il bar solo per chiaccherare con gli amici si ritrovano oggi con i bagagli pronti per partire e andare ad aiutare bambini e adulti meno fortunati di loro. Queste e tante altre sono le vie d’uscita che il bar Exodus ha tentato di dare ad una consistente fetta di popolazione di una città che, in fondo, non ha molto a che fare con le vere origini di chi questo movimento culturale bolognese lo smuove da anni, ma evidentemente questa buona volontà non è stata ben recepita da una città che a inizio mese chiama al telefono per reclamare l’affitto, non è stata nemmeno ben recepita da un’università che ogni anno sforna (dietro lauto pagamento di tasse) centinaia di laureati in discipline artistiche per poi non saper che farsene, anzi, colpevolizzare proprio chi, a questi sfortunati artisti, tenta di dare una seppur flebile voce. Questo è l’amaro destino di chi viene qui da lontano: arrivi, cerchi casa a prezzi esorbitanti, t’iscrivi alla “rinomata” ma non certo gratuita università ma il lavoro per cui ti prepara non te lo può offrire nessuno oppure incontri lo stesso percorso che ha fatto l’Exodus: parti dalla Calabria, compri un bar, fai tanti e tanti debiti con aziende bolognesi e con il comune di Bologna, accogli tutti gli studenti che abitano la città, cerchi di fare qualcosa di buono, fai qualcosa di buono, fai cose che pochi in città fanno per gli altri e poi, la questura arriva e fa chiudere il tuo bar, quello che hai conquistato con tanti sacrifici, perchè, tra centinaia e centinaia di clienti, ce ne sono alcuni che non sono in regola con la legge e quindi pare sia colpa tua, perchè, a quanto abbiamo capito, siamo noi e non le forze dell’ordine a dover controllare se tutti fanno le cose giuste, siamo noi a dover capire le intenzioni di chi entra e siamo noi i responsabili nel caso succeda qualcosa, è chi ha offerto il prorio il prorio lavoro a trovarsi sbattuto nelle pagine dei giornali e additato come un criminale solo perchè, non avendo nessun motivo, non ha impedito ad un gruppo di persone di entrare nel bar, non ha intuito le loro cattive intenzioni ma lui, che ne poteva sapere?
Con questa lettera, oltre ad esprimere la massima solidarietà a Giuseppe Fazio (il proprietario del bar Exodus) e a tutta la sua famiglia da parte mia e di altre centinaia di persone di tutte le età, professioni e estrazioni sociali, volevo soprattutto far sentire la vera voce di chi questo bar l’ha fatto nascere, crescere e l’ha fatto diventare qualcosa di importante per tante persone.
Grazie.
Alice Casarin

Scriveteci anche voi su exodusbar@gmail.com

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