giovedì 19 aprile 2007


giovedì 5 aprile 2007

SOGNANDO TUZLA




Chi, come noi, ha la fortuna di non vedere i propri sogni dissiparsi nella luce del primo giorno, può fare sì che le visioni notturne completino la realtà quotidiana donando, semplicemente, una nuova forma d’essenza.
Chi, come noi, chiudendo gli occhi, si libra in volo valicando spazio e tempo, non può tacere su ciò che un sogno racconta con il suo essere, a volte, ancor più tangibile della realtà stessa.
Chi, come noi, sogna, porta in sé l’emozione della meraviglia, dello stupore, della sorpresa, nello sfiorare con il cuore luoghi che apparentemente distano da noi chilometri, sguardi, parole, culture.
Chi, come noi, sogna, sa che a volte la natura stessa del sogno capovolge ogni percezione, distorcendone ogni possibile interpretazione razionale e rimandando il tutto, alla concretezza emozionale di un brivido che corre dalle viscere alla pelle.
Ecco allora che le ciminiere della centrale di carbone della città di Tuzla, nella omonima regione bosniaca, quasi al confine con la Serbia, si materializzano a squarciare la terra ,come dita di mano deturpatrice di sogni stessi, ad insudiciare ed invadere l’aria con stanchi sbuffi d’insofferenza verso la natura. Qui, nella terra del dolore come memoria e della gioia come salvezza, un sogno è la vita stessa, rappresenta la fede in qualcosa di profondamente semplice come un respiro, sul quale però, già la mano di carbone e piombo pone il suo primo veto.
Sognando Tuzla, ci si può imbattere in sorrisi di bambini che della loro natura hanno solo mantenuto semplicità e innocenza, perdendo, inconsapevoli ancora, la gioia di un abbraccio sepolto sotto una valanga d’odio, di razzismo, di dolore….di silenzio. Bambini a cui viene impossibile negare tutto quell’amore che qua, nella nostra terra addormentata dall’ozio, non siamo capaci di esprimere nella sua completa luce.
Sognando Tuzla, ci si può rendere conto di essere in grado di avere una grande forza, quella vera, quella dell’azione, che conduce al fatto compiuto; sognando Tuzla, ci si può improvvisamente svegliare ed accorgersi che non occorre sognarla, ma viverla, con il proprio entusiasmo e le proprie reticenze, con la curiosità e la paura di non sostenere il peso di una visione tanto reale e crudele; se ciò succede, il sogno è già realtà.
L’aria intrisa di carbone d’oggi e piombo dei giorni di sangue, la terra che sibila il suo urlo silenzioso straziante di dolore, l’acqua nera come la disperazione, ma anche il calore di un sole che brilla di luce propria e che riflette quella di una profonda ed indissolubile voglia di vivere, di esistere, di amare; la pacatezza di una vita che lentamente sta riprendendo il suo corso, la meraviglia nell’accogliere qualcuno, come noi, che cuore in mano è devoto al sorriso e alla pace.
Tuzla è questo; apparentemente, secondo la dottrina più misera, un luogo abbandonato da Dio; in realtà è un luogo dove Dio sta raccogliendo i suoi angeli, dove offre loro la possibilità di librarsi in volo ed apprendere dalle macerie dell’inferno che pare essere, finalmente, fuggito altrove, il desiderio stesso del volo.
I cuori liberi (di amare) non sarebbero tali se non avessero un posto come Tuzla; perché, se come ci insegnano da bambini nelle nostre calde camerette, l’amore lo dobbiamo imparare da ciò che ci circonda, allora, nelle nostre grigie e caotiche città con un contorto senso di rispetto per la vita, avremmo ben poco da apprendere.
Sono i luoghi come Tuzla, come Srebrenica, come le campagne bosniache deturpate dalle bombe della follia, che ci possono insegnare, veramente, cosa significa AMARE.
Ce lo insegna un bambino che ci scambia per un albero e che nel tempo di un respiro è già aggrappato alle nostre orecchie, con la speranza che tu non sia fatto della materia dei sogni..
Ce lo trasmette con quella muta richiesta “…non andare via, straniero, non lasciarmi anche tu. Sii forte, albero che non conosco, non dare all’aria intrisa di piombo e carbone la possibilità di sradicare le tue radici…”.
Davanti a lui, apriamo quella parte di noi che sopita gorgheggia nella brulla quotidianità dell’uomo sazio, e lì, proprio in quell’istante, scambiamo con bambini ed altri angeli di ogni età, l’unica magia che permette di tramutare sogni in realtà. Non lo si dice più, non si pensa di poterlo fare, non si sogna di poterlo fare. Lo si fa, e basta. Si ama.
Ecco, questo per noi significa aver dato corpo ad un sogno. Al nostro, ma soprattutto a quello di altre anime che, speriamo, utilizzino la sua materia intangibile per darne vita ad altri, ancor più intensi e profondi, ricchi di quella vitalità che, come a Tuzla, non abbiamo trovato in nessun altro luogo.
Il nostro è stato un piccolo sogno, che si è trasformato in realtà quando l’abbiamo vissuto, quando l’azione ha preso il sopravvento. Dinamicità, mentale e soprattutto fisica, nel desiderio di amare.
E pensare che questo sogno ha avuto inizio in un bar, un luogo semplice, modesto, dove mille vite ogni giorno si attraversano e si sfiorano. Di queste mille, e ancor di più, alcune hanno trovato un ideale comune, un pensiero, che prima si è fatto sogno e poi, ancor prima di poterne dare un’interpretazione, si è trasformato in realtà. Già, ci siamo coccolati sognando Tuzla e là, tra le colline verdi, dove a spuntare bianche non sono le margherite primaverili, ma le lapidi in memoria di altri fiori spezzati, proprio là, ci siamo destati.
Siamo stati angeli, alberi, madri e padri, fratelli e sorelle, compagni di giochi, amici, ponti, vento, acqua, terra…semplicemente tramutando il nostro onirico pensiero in realtà.
Crediamo di aver fatto una cosa alquanto semplice, l’aver goduto del diritto di condividere con gli altri ciò che abbiamo da trasmettere.

Polisportiva Exodus